Editoriale del Segretario Generale SINAFI. I suicidi tra le Forze dell’Ordine.

Editoriale del Segretario Generale SINAFI. I suicidi tra le Forze dell’Ordine.

Perché diversi appartenenti alle Forze di Polizia se ne vanno via per sempre, nella disperazione dei propri cari, con la stessa semplicità con la quale si esce di casa la mattina? Qualcuno ha detto: “il lavoro che fate vi richiede solo di essere macchine perfettamente efficienti; ne siete tutti consapevoli. E’ anche per questo che

Perché diversi appartenenti alle Forze di Polizia se ne vanno via per sempre, nella disperazione dei propri cari, con la stessa semplicità con la quale si esce di casa la mattina?

Qualcuno ha detto: “il lavoro che fate vi richiede solo di essere macchine perfettamente efficienti; ne siete tutti consapevoli. E’ anche per questo che tirate dritto come i muli e come un mulo ogni tanto qualcuno crolla e non si rialza più…questa è la realtà.”

Soggetti fragili. Così vengono chiamati, a volte, negli ambienti di lavoro, coloro che si tolgono la vita! Due parole che pesano come un macigno, sia nel cuore dei familiari, sia in quello di amici e colleghi.

Spesso tale gesto viene vissuto come l’estrema ratio per fuggire da un’esistenza divenuta soffocante, frutto di una condizione di vita che ha già segnato negli affetti o nella salute, aggravata da un lavoro abbastanza stressante e non certamente ben pagato, che non lascia più intravedere una via d’uscita.

A volte, un semplice scritto, con poche parole, altre un memoriale corposo per cercare di spiegare ai propri cari quel tragico gesto. Una spiegazione, ovviamente, che nessun familiare capirà mai.

Coloro che compiono un gesto così drammatico e così estremo, spesso vengono liquidati con poche parole, di semplice circostanza e del tutto superficiali.

Forse sono meramente il frutto di una reazione istintiva, non voluta, che mette al riparo chiunque, soprattutto con le proprie coscienze, dall’essere additati come moralmente corresponsabili, quantomeno per non aver saputo cogliere nel volto e nei comportamenti della vittima nemmeno un piccolo sintomo di quel forte disagio che ha condotto una persona verso un viaggio senza ritorno.

Forse, addirittura, una reazione istintiva dovuta all’impotenza di poter prevenire tali gesti!

È troppo semplice, tuttavia, soffermarsi al fallimento di un amore o all’acuirsi di una malattia, senza porre anche la minima attenzione alle sofferte condizioni di una vita non proprio facile e connotata da diverse fonti di stress, anche in ragione della peculiarità di un lavoro a cui bisogna corrispondere stringenti obblighi e doveri.

Meglio, forse, liquidare l’evento tragico nel constatare che la vittima di turno era piena di problemi familiari o di cambiali? No, questo non può essere accettato! Chi veste una divisa, veste anche la stessa missione: “la difesa della Patria e la salvaguardia delle libere istituzioni”. Nonostante questo nobile principio, che rischia di diventare solo uno slogan, purtroppo, spesso si è distanti, indifferenti o poco inclini ai problemi del collega che ti siede accanto o che ti dipende.

Sono tanti i colleghi di ogni Forza di Polizia che negli anni ci hanno lasciato e questa escalation, purtroppo, non accenna a fermarsi.

L’ultimo, purtroppo, è avvenuto pochi giorni fa nella Guardia di Finanza.

Una macabra corsa all’emulazione non è neanche ipotizzabile, quindi dobbiamo immaginare che si tratti di un vero e proprio “mal di vivere” che conduce nell’oblio, qualora si ritiene che la propria esistenza sia diventata insignificante.

Non è neppure immaginabile che la causa primaria sia legata solo alle norme stringenti che regolano il peculiare rapporto di lavoro.

E’ vero che si vive in un contesto lavorativo che, a volte, può prestarsi ad un’irragionevole compressione delle condizioni di lavoro, di vita e delle aspettative professionali del lavoratore che indossa un’uniforme; norme che al fine di tutelare il delicato servizio finiscono, talvolta, con l’annullare forme di libertà indispensabili per l’uomo e la condotta partecipativa alla vita collettiva.

Tuttavia, però, sarebbe semplicistico e fuorviante ritenere che si possa arrivare al suicidio solo in ragione dei problemi che, per quanto ritenuti gravi o percepiti tali dall’operatore che vive condizioni di forte stress, si riferiscano al solo ambiente professionale

l suicidio, invece, sembra appalesarsi come l’ultimo gesto di un malessere generale e profondo dell’individuo che indossa un’uniforme; originato da profonde difficoltà nei rapporti interpersonali nell’ambiente familiare o amicale si estende, poi, anche agli altri contesti relazionali.

Ed appare ancor più fuorviante associare queste morti così drammatiche, inspiegabili e drammatiche, a quelle sul lavoro o alle presunte pratiche di mobbing generalizzato.

Vi è, invece, senza alcun dubbio, una forte correlazione tra queste gesta e le difficoltà sociali ed economiche che sempre più attanagliano gli appartenenti al comparto difesa e sicurezza.

Gli stipendi estremamente bassi per il tipo di lavoro svolto, l’aumento esponenziale del costo della vita ed una crisi economica e sociale imperante, mettono ogni giorno a dura prova anche questa categoria che, apparentemente, può sembrare privilegiata.

Molti colleghi che prima avevano un doppio reddito e vivevano dignitosamente, oggi, con un solo stipendio, non riescono a superare nemmeno la terza settimana del mese.

La perdita del lavoro del coniuge e l’impossibilità di trovarne un altro, sommate al divieto di potersi “arrangiare” svolgendo lavori precari, magari raggirando le norme che regolano il lavoro regolare (è ovvio che questa strada non è nemmeno ipotizzabile per un familiare di chi indossa un’uniforme, ma è la consuetudine per molti altri cittadini), sono una miscela esplosiva che spesso contribuisce a sfasciare letteralmente la famiglia e a minare l’equilibrio delle persone.

Più del settanta per cento del personale, infatti, ha contratto mutui e fatto ricorso a forme di credito al consumo, per cercare di sbarcare il lunario, essendo costretti a vivere lontano dalle proprie famiglie di origine.

Quale potrebbe essere, quindi, la causa scatenante di tutti questi tragici eventi?

A detta degli esperti la parola chiave di questi drammi, al di là delle cause scatenanti che sottendono a tali eventi drammatici, si chiama “Alessitimia”, o meglio, difficoltà nel manifestare e descrivere i propri sentimenti. C’è chi sostiene – però – che le caserme, non siano certo l’habitat favorevole per chi vuole aprirsi ed esternare le proprie difficoltà personali.

Enrico Morselli, neuropsichiatra italiano dei primi del Novecento, sosteneva che una determinante del gesto suicida nelle forze armate e nei corpi armati era “la disciplina dell’istituzione”, spesso irrazionalmente perseguita.

Secondo altri esperti, invece, questa è un’ipotesi che oggigiorno appare largamente superata e non più rispondente alle logiche che prevalevano nelle caserme in quegli anni.

Secondo la visione di alcuni appartenenti alle forze di polizia che hanno vissuto questo dramma anche in tempi più recenti, chiedere aiuto quando si è depressi potrebbe anche equivalere all’isolamento, altri, invece, affermano di aver avuto il pieno sostegno e la vicinanza dei superiori e dei colleghi.

E’ di vitale importanza, pertanto, porre la massima attenzione a questi fenomeni anche quando si manifestano sotto forma di semplice disagio, facendo ricorso ad una diversa sensibilità da parte di ogni soggetto appartenente all’organizzazione.

L’emergenza sanitaria in atto, legata al Covid-19, ed i disagi psicosociali che con essa si stanno sviluppando, peraltro, devono indurre coloro che hanno ruoli apicali nelle Amministrazioni ad ipotizzare forme di monitoraggio, sostegno e supporto.

In conclusione, pur sostenendo che le cause che inducono gli appartenenti alle forze di polizia ed alle forze armate siano prioritariamente legate alla sfera personale o familiare, aggravate dal disagio economico o dalle condizioni stressanti insite nel peculiare lavoro, le Amministrazioni devono, comunque, porre necessariamente maggiore attenzione ai comportamenti ed ai segnali che provengono dai singoli dipendenti, nonché manifestare maggiore disponibilità e sensibilità ad intervenire, per attenuare o cercare di risolvere le problematiche riscontrate, anche di natura privata, ancor prima che si ci trovi di fronte a situazioni consolidate ed irreversibili.

Da tutte queste semplici ipotesi ed amare riflessioni, quindi, una cosa certa emerge con chiarezza: il dovere morale che abbiamo tutti, di chiederci come mai queste persone “se ne vanno per sempre”, nella totale disperazione dei propri cari, con la stessa semplicità con la quale si esce di casa la mattina.

Eliseo Taverna

Segretario Generale SINAFI

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