Editoriale del Segretario Generale SINAFI. Strage di Capaci. Mai più indifferenza da parte dello Stato

Giovanni Falcone un magistrato isolato, delegittimato, tradito da alcuni suoi stessi colleghi. Almeno mentre era in vita. Così, a distanza di ventotto anni dalla strage di Capaci, sull’autostrada che conduce da Punta Raisi a Palermo, dove persero la vita Giovanni Falcone la moglie Francesca Morvillo, anch’essa magistrato e gli uomini della scorta: Vito Schifani, Rocco

Giovanni Falcone un magistrato isolato, delegittimato, tradito da alcuni suoi stessi colleghi. Almeno mentre era in vita. Così, a distanza di ventotto anni dalla strage di Capaci, sull’autostrada che conduce da Punta Raisi a Palermo, dove persero la vita Giovanni Falcone la moglie Francesca Morvillo, anch’essa magistrato e gli uomini della scorta: Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro, sono stati ricordati da esponenti autorevoli del Consiglio Superiore della Magistratura..

Un giorno drammatico, per coloro che persero la vita e per i loro familiari, piombati, inevitabilmente, un uno stato di disperazione e di totale smarrimento. Fatti, raccontati anni dopo, anche da Rosaria Costa, la moglie di Vito Schifani, uno degli agenti della scorta che perse la vita nel vile attentato, insieme al giornalista Felice Cavallaro. La donna che durante l’omelia nella cattedrale di Palermo gridò dall’altare “Io vi perdono ma inginocchiatevi. Dovete avere il coraggio di cambiare…ma loro non cambiano”.

Anni dopo, Emanuele, figlio di Vito e di Rosaria, si è arruolato nella Guardia di Finanza ed oggi riveste il grado di capitano; una scelta che senz’altro gli è derivata dall’amore per le Istituzioni, dalla volontà di essere al servizio dello Stato e dei cittadini, così come lo era il suo papà, dimostrata anche dalle sue parole pronunciate a distanza di 28 anni dalla strage: “Non provo odio ma tanta rabbia“.

Oltre il buio, più che un libro fu un racconto, che descrisse uno dei più gravi e cruenti atti di violenza messi in atto nei confronti di Giovanni Falcone e degli uomini della sua scorta. Un racconto che partii dall’amore per Vito, per la Sicilia, fino a mettere in evidenza le tante indifferenze, l’isolamento verso uomini dello Stato, le connivenze tra poteri forti, le delegittimazioni verso un magistrato illuminato da parte dei suoi stessi colleghi e le indifferenze dello Stato.

Venne definito “un viaggio verso la verità e, infine, un bilancio amarissimo per spiegare a chi non sa, ad un figlio, ai nostri figli, che cosa accadde. Condizione indispensabile perché non risulti vano il sacrificio di tanti innocenti, per costruire la speranza dei giusti, per illuminare un mondo in cui i mafiosi appaiono come “fantasmi destinati a muoversi nel buio.

In questi anni non sono mancate polemiche nemmeno sull’indifferenza che venne riservata a Giuseppe Costanza, autista di Giovanni Falcone, che scampo’ alla morte perché sedeva al posto del giudice. Un senso di colpa, di smarrimento e di frustrazione che, probabilmente, lo accompagnano tutt’oggi, vissute soprattutto quando dovette sopportare le affermazioni di qualcuno che gli disse che se fosse stato seduto al suo posto di guida oggi Falcone sarebbe ancora vivo.

Come da lui stesso dichiarato alla stampa, dopo l’attentato, al rientro in servizio, si aspettava un’accoglienza diversa e, invece si accorse che non sapevano che farsene di lui. Venne collocato in un ufficio, una sorta di sgabuzzino, con le pareti in cartongesso, ricavato in un corridoio. Gli venne concessa la medaglia d’oro al valor civile e lo assegnarono all’autoparco. Entrava, timbrava il cartellino ed spettava l’ordine di servizio. Una condizione definita da lui stesso un incubo. Anni dopo s’incatenò davanti al Tribunale e fu solo allora, a suo dire che si accorsero che Giovanni Costanza esisteva. Quando suo nipote durante una delle tante commemorazioni della strage, nella quale risultò l’ospite non invitato, gli disse: nonno ma non c’eri anche tu quel giorno della strage, ricevette un pugno nello stomaco che lo lasciò senza fiato. Dieci anni dopo dalla strage, fortemente deluso, decise di lasciare il lavoro.

Nel corso della storia di questo Paese, non sono purtroppo mancate altre storie drammatiche, che hanno visto cadere uomini dello Stato, prim’ancora che sotto la pioggia delle pallottole, sotto quella dell’isolamento, della delegittimazione e dell’abbandono.

Eliseo Taverna – Segretario Generale SINAFI

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