SINDACATO NAZIONALE FINANZIERI Segreteria Nazionale Via Tagliamento nr. 9 – 00198 – Roma C.F. 96411220583 Mail:segreterianazionale@sinafi.org PEC: segreterianazionale@pec.sinafi.org Cell. 3292605371 SENZ’ALTRO UNA BATTAGLIA NON FACILE, TUTTAVIA MEGLIO COMBATTERLA CHE STARE ALLA FINESTRA INERMI A GUARDARE LA DEMOLIZIONE DEI DIRITTI DEL PERSONALE. Ormai da troppi anni, complice anche la crisi economica – a tratti imperante –
SINDACATO NAZIONALE FINANZIERI
Segreteria Nazionale
Via Tagliamento nr. 9 – 00198 – Roma
C.F. 96411220583
Mail:segreterianazionale@sinafi.org
PEC: segreterianazionale@pec.sinafi.org
Cell. 3292605371
SENZ’ALTRO UNA BATTAGLIA NON FACILE, TUTTAVIA MEGLIO COMBATTERLA CHE STARE ALLA FINESTRA INERMI A GUARDARE LA DEMOLIZIONE DEI DIRITTI DEL PERSONALE.
Ormai da troppi anni, complice anche la crisi economica – a tratti imperante – che ha colpito il nostro Paese e continua tuttora a mordere voracemente senza sosta nel suo percorso, erodendo stipendi e potere d’acquisto, si è generato un altro male, che è quello della mancanza di equità che, inevitabilmente, troppo spesso si mescola al mancato ottenimento della giustizia.
Una giustizia, che dovrebbe essere l’ultimo baluardo per far valere equità e diritti negati!
Nel corso degli ultimi vent’anni, invece, sono state numerose le questioni che attengono al rapporto di lavoro del personale appartenente al comparto difesa e sicurezza che hanno avuto un impatto nefasto direttamente sulle loro condizioni economiche.
Ingiustizie generate dalla classe politica di Governo alternatasi nel corso degli anni, spesso alimentate anche dalle Amministrazioni di appartenenza e subìte dal personale che, purtroppo, non ha – se non in minima parte – ottenuto il giusto ristoro nemmeno nelle aule giudiziarie da parte di quella giustizia che dovrebbe costituire il baluardo di uno Stato democratico.
La ragione risiede, purtroppo, nella carenza di risorse economiche necessarie per far fronte al ristoro di diritti economici e sociali che discendono da leggi, regolamenti e contratti che regolano la vita sociale e finanziaria del rapporto di lavoro del personale, nonché dai conseguenti riflessi che questa crisi economica ha, inevitabilmente, sulla giustizia pubblica e giudiziaria.
La riflessione istintiva che si è indotti a fare a questo punto ci porta, inevitabilmente, alla triste conclusione che sia inutile vedersi riconoscere diritti o istituti economici, che sono sempre il frutto di conquiste, se poi non si possono attuare o sono attuati in parte a causa della mancanza delle risorse necessarie.
Sono stati diversi gli istituti che nel corso di questi anni non sono stati riconosciuti o hanno subìto una forte attenuazione rispetto alla loro portata originaria e che troppo spesso nemmeno i ricorsi giudiziali hanno permesso di far attuare o riequilibrare.
Il più eclatante è risultato il blocco delle retribuzioni e delle dinamiche salariali attuate nel 2010 nei confronti dei dipendenti pubblici e, quindi, anche del personale del comparto sicurezza, difesa e soccorso pubblico, che creò danni ingenti alle peculiari retribuzioni percepite dal personale e che ancora oggi ha lasciato strascichi nelle aule giudiziarie.
Per non parlare, poi, della previsione che permette tuttora all’INPS, sempre con quel pacchetto di provvedimenti nefasti approvati nel 2010, di trattenere il TFS del personale che lascia il lavoro attivo anche fino a 39 mesi dall’atto del congedo.
Emerge come un macigno, inoltre, la grave inadempienza del mancato avvio della previdenza complementare per il comparto sicurezza, difesa e soccorso pubblico, che parte da lontano con la riforma del sistema pensionistico, attuata con la legge 335/95, cosiddetta riforma Dini e che si è perpetrata fino ad oggi, assumendo persino caratteristiche grottesche.
I Rappresentanti del personale e tanti singoli appartenenti al comparto, nel corso di questi lunghi anni, hanno provato in tutti i modi e in tutti gli ambiti (politici, istituzionali e giudiziari) a rivendicare l’avvio della previdenza complementare ma senza alcun esito tangibile, proprio a causa di quella contraddizione spiegata in precedenza, che vede contrapposte esigenze di riconoscere e ampliare i diritti del personale con il contenimento dei conti pubblici.
Su questo ultimo tema del mancato avvio della previdenza complementare, come è noto, il SINAFI, dopo un’attenta riflessione sulla fondatezza della pretesa e sull’eventuale possibilità di tentare quest’ultima battaglia giudiziale contro un’inadempienza dello Stato, su una materia fondamentale per il futuro pensionistico del personale ha avviato, tramite due studi legali convenzionati, diversi ricorsi collettivi ai quali hanno aderito migliaia di finanzieri al fine di richiedere, in via giudiziale, il risarcimento del danno.
I legali convenzionati sono già a lavoro per redigere un ricorso che contenga solide basi giuridiche e, soprattutto, quel valore aggiunto che possa dimostrare la fondatezza della pretesa di tanti iscritti SINAFI che hanno creduto in noi e in loro, a prescindere da come andrà a finire.
Seppur lasciano capire comprensibilmente le difficoltà della battaglia intrapresa, i cui effetti potrebbero impattare, in modo preponderante, sulle casse dello Stato, non devono destare preoccupazione alcune sentenze negative emesse da due TAR nei mesi scorsi in merito ad analoghi ricorsi presentati in precedenza da altri ricorrenti, sempre appartenenti alle Forze di Polizia, poiché il ricorso che presenteranno i nostri legali muoverà i passi da altri presupposti e sarà impostato con elementi di fatto, di diritto e con una metodologia diversa.
Proprio su questi aspetti ritengo sia doveroso fornire una visione più chiara delle cose e fare alcune precisazioni, anche al fine di confutare le tesi avventate di coloro che in questi giorni anziché combattere anch’essi questa battaglia, così come avrebbero dovuto doverosamente fare, si sono scatenati con commenti inopportuni facendo intendere che i ricorsi non avranno nessuna speranza di poter andare a buon fine e instillando dubbi tra coloro che, invece, hanno inteso aderire.
Una cosa certa fin dal primo momento è che la battaglia giudiziaria avviata per il riconoscimento del danno da mancato avvio della previdenza complementare non è certo facile, poiché i primi passi sono stati mossi da più di venti anni fa, né tantomeno è scontato il suo risultato. La via giudiziale nuovamente intrapresa dopo anni di tentativi fatti in tutti le sedi, che mira a dimostrare il riconoscimento del diritto e la quantificazione del danno, costituisce l’ultimo mezzo di lotta per difendere i diritti negati al personale in materia pensionistica, prima di metterci una pietra tombale sopra.
In merito alle recenti sentenze negative che alcuni hanno inteso cavalcare, pertanto, ritengo tuttavia doveroso dover evidenziare alcune eccezioni di merito che i Giudici hanno fatto rilevare e in forza dei quali hanno dichiarato l’inammissibilità dei ricorsi, tuttavia che erano, a nostro avviso, già intuibili e immaginabili.
- l’inammissibilità del gravame collettivo poiché i ricorrenti – peraltro dipendenti da Amministrazioni diverse (Ministero dell’Interno e Ministero della Difesa) – svolgono domande risarcitorie personali, richiedenti ciascuna un’istruttoria e valutazione individuale e distinta, mancando quelle ragioni ed interessi comuni ed inscindibili, sì da trarre da un eventuale accoglimento un unico immediato vantaggio, poiché è del tutto evidente che il richiesto risarcimento danni non può che essere strettamente personale e dipendente dalla singola posizione individuale di ogni ricorrente;
- il danno dedotto in giudizio appare di per sé del tutto generico, speculativo ed indimostrato, in quanto non è stata in nessun modo circostanziata la posizione di ciascun dipendente (in ragione del sistema di contribuzione allo stesso spettante, rilevante ai fini della determinazione del trattamento di quiescenza) né il probabile rendimento di un ipotetico Fondo di previdenza complementare, né, da ultimo, determinato il quantum;
- Risulta pertanto del tutto non vincolante, al fine della decisione della presente controversia, la sentenza della Corte dei Conti sez. Puglia n. 207 del 2020, in quanto pronunciata da un giudice privo di giurisdizione sul tema;
- Sotto altro punto di vista, a ben vedere, nella prospettazione avanzata nel ricorso si vorrebbe azionare, mediante il rito del silenzio, un credito del ricorrente, nella forma del risarcimento del danno per equivalente, rispetto ad un’obbligazione patrimoniale asseritamente rimasta inadempiuta. Tuttavia manca il preliminare accertamento in giudizio, da parte degli organi giurisdizionali competenti, o comunque difetta il riconoscimento preventivo e spontaneo da parte dell’Amministrazione datoriale, della sussistenza della responsabilità dalla quale sola conseguirebbe il diritto al risarcimento del danno per equivalente, di cui si è chiesta inutilmente la quantificazione;
- Invero, detto obbiettivo doveva eventualmente perseguirsi mediante l’esercizio di un’azione ordinaria, tesa a far accertare la sussistenza del mancato adempimento di un obbligo derivante dal rapporto di pubblico impiego in favore del ricorrente, secondo il paradigma espresso dalla sentenza della Corte di Cassazione Sez. UU. n. 22807 del 2020 (cfr. ivi “La domanda avente ad oggetto il risarcimento del danno da mancata attuazione della previdenza complementare per il personale del Comparto sicurezza, difesa e soccorso pubblico, riservata alla concertazione – contrattazione, ai sensi delle disposizioni degli artt. 26, comma 20, L. 23/12/1998 n. 448, e 3, co. 2 D.Lgs. 5/12/2005 n. 252, è devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, attenendo all’inadempimento di prestazioni di contenuto solo genericamente previdenziale e strettamente inerenti al rapporto di pubblico impiego”), da cui far valere consequenzialmente il diritto di credito relativo al risarcimento del danno per equivalente (T.A.R. Lazio sez. II – Roma, 9 dicembre 2015, n. 13750).
Queste eccezioni, dimostrano inequivocabilmente, che le resistenze sono forti e che le eccezioni ricercate sono molteplici, proprio perché in ballo ci sono numeri elevati di aventi titolo ad un eventuale risarcimento del danno e centinaia di milioni di euro che, eventualmente, lo Stato dovrà sborsare in caso di soccombenza.
E’ evidente che la partita si giocherà fino all’ultimo grado di giudizio, sia se in primo grado soccomberà lo Stato, sia se soccomberanno i ricorrenti, ma la battaglia va assolutamente combattuta proprio in nome di quella giustizia che è l’ultimo baluardo di uno stato democratico, portando elementi a sostegno di elevato pregio giuridico che possano dimostrare l’obbligo che aveva lo Stato ad avviare i fondi pensione e, di conseguenza, l’inadempienza concretizzatasi a seguito del mancato avvio degli stessi, il diritto dei singoli ricorrenti ad avere il secondo pilastro della previdenza in forza alla legge 335/95 per colmare il decremento scaturente dal passaggio al nuovo e meno vantaggioso sistema di calcolo della pensione che porterà tutti noi ad avere un decremento di diverse centinaia di euro sul trattamento di pensione e, infine, il riconoscimento, la dimostrazione e la quantificazione del danno subìto.