Editoriale del Segretario Generale Sono trascorsi ventinove anni da quel drammatico giorno che gettò l’intero Paese in uno stato di grave turbamento e smarrimento. Ventinove anni che non hanno certamente lenito il dolore e l’indignazione degli uomini sani delle istituzioni, dei cittadini che hanno un alto senso dello stato e della giustizia, ma soprattutto dei
Editoriale del Segretario Generale
Sono trascorsi ventinove anni da quel drammatico giorno che gettò l’intero Paese in uno stato di grave turbamento e smarrimento.
Ventinove anni che non hanno certamente lenito il dolore e l’indignazione degli uomini sani delle istituzioni, dei cittadini che hanno un alto senso dello stato e della giustizia, ma soprattutto dei familiari di questi eroi la cui unica colpa era stata quella di servire onestamente e con dedizione.
Ventinove anni dalla strage di Capaci, sull’autostrada che conduce da Punta Raisi a Palermo, dove persero la vita Giovanni Falcone la moglie Francesca Morvillo, anch’essa magistrato e gli uomini della scorta: Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro.
Giovanni Falcone era un magistrato isolato, delegittimato, tradito da alcuni suoi stessi colleghi. Almeno mentre era in vita.
Un giorno drammatico, per coloro che persero la vita e per i loro familiari, piombati, inevitabilmente, un uno stato di disperazione e di totale smarrimento. Fatti, raccontati anni dopo, anche da Rosaria Costa, la moglie di Vito Schifani, uno degli agenti della scorta che perse la vita nel vile attentato, insieme al giornalista Felice Cavallaro. La donna che durante l’omelia nella cattedrale di Palermo gridò dall’altare “Io vi perdono ma inginocchiatevi. Dovete avere il coraggio di cambiare…ma loro non cambiano”.
Anni dopo, Emanuele, figlio di Vito e di Rosaria, si è arruolato nella Guardia di Finanza ed oggi riveste il grado di capitano; una scelta che senz’altro gli è derivata dall’amore per le Istituzioni, dalla volontà di essere al servizio dello Stato e dei cittadini, così come lo era il suo papà. Dimostrata anche dalle sue parole pronunciate l’anno scorso a distanza di 28 anni dalla strage: “Non provo odio ma tanta rabbia“.
Oltre il buio, più che un libro fu un racconto, che descrisse uno dei più gravi e cruenti atti di violenza messi in atto nei confronti di Giovanni Falcone e degli uomini della sua scorta. Un racconto che partii dall’amore per Vito, per la Sicilia, fino a mettere in evidenza le tante indifferenze, l’isolamento verso uomini dello Stato, le connivenze tra poteri forti, le delegittimazioni verso un magistrato illuminato da parte dei suoi stessi colleghi e le indifferenze dello Stato.
Venne definito “un viaggio verso la verità e, infine, un bilancio amarissimo per spiegare a chi non sa, ad un figlio, ai nostri figli, che cosa accadde. Condizione indispensabile perché non risulti vano il sacrificio di tanti innocenti, per costruire la speranza dei giusti, per illuminare un mondo in cui i mafiosi appaiono come “fantasmi destinati a muoversi nel buio.
Nel corso della storia di questo Paese, non sono purtroppo mancate altre vicende drammatiche, che hanno visto cadere uomini dello Stato – che dovevano essere maggiormente protetti – prim’ancora che sotto la pioggia delle pallottole, sotto quella dell’isolamento, della delegittimazione e dell’abbandono.
Eliseo Taverna – Segretario Generale SINAFI