Le sfide che attendono il nuovo Comandante Generale se vuole ottenere, da parte del personale, una rinnovata coesione sociale e più vicinanza verso il Corpo e la sua dirigenza.

Le sfide che attendono il nuovo Comandante Generale se vuole ottenere, da parte del personale, una rinnovata coesione sociale e più vicinanza verso il Corpo e la sua dirigenza.

Editoriale del Segretario Generale SINAFI Nel mese di aprile scorso è stato celebrato il 42° anno dell’entrata in vigore della Legge 121/81 che riformò il Corpo delle Guardie di PS, smilitarizzandolo e, soprattutto, dando una connotazione civile alla funzione di Polizia che portava con sé, fino a quel momento, un’impostazione post bellica accentrata totalmente sulla

Editoriale del Segretario Generale SINAFI

Nel mese di aprile scorso è stato celebrato il 42° anno dell’entrata in vigore della Legge 121/81 che riformò il Corpo delle Guardie di PS, smilitarizzandolo e, soprattutto, dando una connotazione civile alla funzione di Polizia che portava con sé, fino a quel momento, un’impostazione post bellica accentrata totalmente sulla repressione.
Gli anni che si sono susseguiti a questa evoluzione democratica hanno portato – anche grazie al progresso sociale e socio-economico che ha vissuto il Paese – ad una Polizia di Stato e, di riflesso, a Forze di polizia meno distanti, molto più integrate con la società civile ed al completo servizio della stessa, spesso anche come Corpi a vocazione sociale.
Inoltre, la riforma, con la smilitarizzazione e la sindacalizzazione, ha portato al personale della PS indiscusse conquiste sotto l’aspetto delle tutele e delle retribuzioni, ma soprattutto un’evoluzione sociale e culturale che il personale in uniforme ha ottenuto nella società civile, con evidenti e tangibili benefici.
L’attribuzione dell’Autorità Nazionale di PS, al Ministro dell’Interno, nonché il coordinamento di tutte le FF.PP. e, a cascata, l’attribuzione ai Prefetti ed ai Questori della responsabilità, a livello Provinciale, dell’ordine e la sicurezza pubblica, ha completato una riforma epocale.
Sono seguiti anni caratterizzati da riforme dei singoli Corpi di Polizia, ognuno volto a cercare una propria dimensione e peculiarità, ma anche proiettati ad una discutibile conservazione dei propri compiti ed alla conquista di nuove competenze, tentando di sottrarle ad altri o generando deleterie duplicazioni (la cancellazione del Corpo Forestale e l’accorpamento nei Carabinieri ne sono un esempio emblematico).
La GdF, quale Polizia Economico-Finanziaria, si è riformata più volte, mantenendo l’assetto militare e assumendo il ruolo di Polizia a competenza generale, ma specializzata nel settore delle entrate e delle uscite dello Stato, degli Enti Pubblici e dell’Unione Europea, fino ad assumere la contemporanea veste di “Polizia del mare”, con compiti esclusivi di Pubblica Sicurezza, esattamente come lo é la Polizia di Stato sulla terra ferma.
Con la possibilità di nominare, per la prima volta nella storia, un Comandante Generale proveniente dalle fila del Corpo (possibilità per la quale mi sono battuto in ogni sede nella piena convinzione che fosse la scelta migliore), il 2010 é stato un anno che lasciava presagire davanti a sé grandi cambiamenti, tuttavia gli anni che sono seguiti, per una serie di ragioni, invece, sono stati caratterizzati da ordinarietà e stagnazione e, purtroppo, da un rinvigorimento di una forma di militarità inaspettata – soprattutto negli istituti di formazione – talvolta molto più nella forma che nella sostanza, tuttavia distonica rispetto all’evoluzione del Paese ma soprattutto al peculiare ruolo che il Corpo é chiamato a svolgere.
La paura di allontanarsi troppo dalla Difesa e dalla “forza politica” che politicamente porta con sé tale comparto, nonché a causa del timore ricorrente di perdere le stellette, ha portato alla restaurazione di termini, concetti e “visioni militaresche” che mal si conciliano con una moderna Polizia Economico-Finanziaria.

Identità e orgoglio di Finanzieri ci caratterizzano come una moderna Polizia Economico-Finanziaria chiamata a fare qualcosa di molto diverso dai compiti del soldato.

La Guardia di Finanza non é la quinta Forza Armata, né un Corpo elevato a rango di Forza Armata e il personale, probabilmente, potrebbe stentare a comprendere un’eventuale scelta del genere da parte dei vertici del Corpo e della politica (con tutto il rispetto e l’onore dovuto ai soldati e alle Forze armate, superfluo sottolinearlo).
L’avvento delle criptovalute, dell’intelligenza artificiale, del metaverso, dei Cyber crime, invece, avrebbe dovuto portare a radicali innovazioni per creare una polizia economico-finanziaria altamente formata e specializzata in questi settori strategici, anche nel settore dell’intelligence economico-finanziario, con un personale estremamente motivato, meglio retribuito e, seppur militarmente organizzato, più scevro da logiche connotate da un forte carrierismo della dirigenza che continua ad allontanare, oltremodo, giorno dopo giorno, la base dalla dirigenza ed a creare forti divisioni nella stessa categoria degli ufficiali. Oltre l’apparenza e le formule di stile dovute, verso le quali i Finanzieri sono sempre pronti e fedeli, il nuovo Comandante Generale rischia di trovare davanti a sé un Corpo con un personale fortemente demotivato e con una certa conflittualità latente, che cresce giorno dopo giorno e si mescola all’indignazione, creando una miscela che rischia di essere deleteria.

Encomi e note caratteristiche attribuite nel corso degli anni non sempre in modo lineare ed oggettivo, talvolta hanno contribuito a falsare progressioni di carriere, con il naturale risultato di non premiare sempre i migliori e generando invidie, risentimenti e una cultura divisiva che ha allargato le distanze.

Personale che vive lontano da casa migliaia di chilometri e si trova a vivere situazioni familiari drammatiche sulla propria pelle, con genitori o coniugi gravemente malati, si vede puntualmente rigettare domande di assegnazione ai sensi della legge 104/92 per carenza di posti disponibili e analoga sorte tocca a coloro che chiedono il ricongiungimento al coniuge che svolge attività lavorativa, ai sensi dell’art. 42 bis del Testo Unico sulla Maternità e Paternità, per esercitare il ruolo genitoriale a tutela dell’infante.

Un altro capitolo inquietante sono le aspettative di coloro che pur avendo un’anzianità di servizio rilevante non riescono ad ottenere il tanto auspicato trasferimento nei luoghi d’origini (tutti del sud) poiché nel corso degli anni i reparti sono stati riempiti di personale (non sempre particolarmente anziano di servizio), tuttavia assistono tuttora, imperterriti, ad assegnazioni cospicue di neo finanzieri e neo ispettori proprio in quei reparti, in nome di una paventata, ma non accettabile, esigenza di svecchiamento dei reparti e di una forte sofferenza nel voler svolgere particolari servizi da parte del personale più anziano.

Il processo di sindacalizzazione, in atto ormai da più di 4 anni e senz’altro mal digerito, paga lo scotto di una indifferenza da parte della dirigenza che mostra insolitamente, rispetto al passato, una certa “resistenza al cambiamento”, all’evoluzione dei paradigmi, verso un mondo che già é cambiato e che, invece, richiederebbe, maggiore coraggio e visione strategica per ricercare le migliori condizioni di dialogo e soluzioni nell’interesse del personale e del Corpo stesso, giacché del primo, vitalmente, consta.

Paradossalmente, i più interessanti e delicati dibattiti, nonché le maggiori aperture innovative in tema di diritti, sono stati agevolati dagli ultimi Comandanti Generali provenienti dall’Esercito.

Ricordo le due Assise delle Rappresentanze Militari della Guardia di Finanza a livello nazionale, tenutesi all’interno della Scuola dell’Aquila, di Castelporziano e del Comando Generale, alla quale parteciparono politici, accademici e gli stessi Comandanti Generali e che sono risultate prodromiche al processo di innovazione democratica della funzione rappresentativa, in chiave sindacale, che oggi stiamo vivendo.

Questo editoriale, per alcuni versi forte, sofferto e meditato, non é certo il frutto di sterili e gratuite polemiche, ma un atto dovuto, un imperativo categorico dal quale non potevo sottrarmi, sentendo anche decine e decine di Colleghi che vanno in pensione e dopo quarant’anni di servizio mostrano, purtroppo, tanta amarezza e delusione.

Il naturale epilogo del mio percorso, coerente oltremisura, in difesa del personale del Corpo ed iniziato circa diciassette anni fa (e del Corpo stesso, al quale ho dedicato 38 anni di lavoro connotato da rispetto, dedizione, rigore, innamoramento e passione), nonché lo stimolo ad osare ancora di più e, quindi, lanciare un grido di speranza per dare voce agli inascoltati, a chi spesso non ce l’ha.

Forza, che mi deriva dallo stimolo di migliaia di Colleghi e familiari che ho avuto modo di ascoltare in tutti questi anni, cercando di aiutare loro in mille modi e con i quali ho condiviso, con discrezione, drammi umani e personali, sofferenze e delusioni, ma anche momenti di gioia e di speranza, nell’auspicio di smuovere la coscienza di chi oggi si appresta ad iniziare un nuovo percorso alla guida del Corpo.

Eliseo Taverna*

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