Può sembrare strano, e per certi versi di scarso interesse per il personale rappresentato, che dopo 5 anni dalla emanazione della nota sentenza della Corte Costituzionale n.120/2018 sul riconoscimento del diritto del personale militare di costituire associazioni di carattere sindacale, tra i c.d. “addetti ai lavori” ci si confronti ancora oggi sulla costituzionalità di una
Può sembrare strano, e per certi versi di scarso interesse per il personale rappresentato, che dopo 5 anni dalla emanazione della nota sentenza della Corte Costituzionale n.120/2018 sul riconoscimento del diritto del personale militare di costituire associazioni di carattere sindacale, tra i c.d. “addetti ai lavori” ci si confronti ancora oggi sulla costituzionalità di una norma, la legge n.46/2022, che il Giudice delle Leggi, dopo aver dettato linee guida e criteri di carattere generale già desumibili dall’assetto costituzionale della materia, aveva demandato poi al legislatore, ai fini dell’individuazione di eventuali ed ulteriori limiti.
Ricordo che a distanza di quasi un anno dal dirompente comunicato stampa rilasciato dalla Corte Costituzionale, con il quale si annunciava il convincimento del Giudice delle Leggi, di cancellare il divieto previsto per i militari di costituire associazioni sindacali professionali, così come era sancito dal T.U.O.M. all’art. 1475 comma 2, si era già aperto un ampio dibattito, sempre più sistematico con il trascorrere dei mesi, tra tutte le parti interessate al processo in atto, nel quale non si era mai trascurato di mettere in primo piano l’opportunità straordinaria che si presentava per il nostro Paese nel riconoscere per legge i diritti di rappresentanza sindacale a tutte le donne e gli uomini con le stellette, avendo come bussola di questo processo proprio l’articolo 39 della nostra Costituzione.
L’intervento normativo allora richiesto dalla Corte Costituzionale poteva sembrare, prima facie, uno dei tanti interventi normativi, previsti con ordinarietà dall’agenda del legislatore, ma per i circa 350mila militari operativi in Italia e per le rispettive Amministrazioni di cui facevano e fanno parte, era quella una fase in cui tutti gli interessati, a vario titolo, sapevano che l’approvazione di una legge per i “Sindacati Militari” sarebbe stata l’abbrivio per una nuova era nella nostra società, con un diverso concetto di incentivo al lavoro, basato sulla tutela del militare, stricto sensu, con il conseguente aumento delle perfomance lavorative, non ultimo il miglioramento dei rapporti interni al luogo di lavoro fra dipendenti e dirigenza.
La speranza di allora, oggi in parte disattesa, era che nell’iter di formazione della norma si avesse chiara la consapevolezza che l’art. 39 della Costituzione (l’organizzazione sindacale è libera), doveva necessariamente rappresentare il faro illuminante per questa traversata che, sin da subito, si presentava ricca di criticità tecniche e politiche, pur tenendo conto dei soli limiti (operativi) che avrebbero potuto caratterizzare una norma di tale portata attagliata per lo status militare.
Il confronto tra le parti citato in precedenza poteva certamente apparire, e può ancora apparire, agli occhi del personale, un mero esercizio intellettuale tra coloro ai quali quello stesso personale ha demandato la funzione rappresentativa, essendo direttamente interessato più alla concreta attuazione delle norme sulla sindacalizzazione dei militari che al loro processo di formazione ed alla loro successiva esegesi.
Ma così non era e non è stato, in ragione del fatto che dalla rispondenza della norma sulla sindacalizzazione del personale militare al disposto dell’articolo 39 della nostra carta costituzionale deriva il riconoscimento reale e concreto dei diritti sindacali ed il loro libero e conforme esercizio da parte dei sindacati nati prima e dopo l’emanazione della legge n.46/2022.
Da ultimo il dibattito sembra essersi incentrato sugli effetti della completa o meno attuazione dell’articolo 39 della Costituzione, non solo nei confronti dei sindacati stricto sensu (confederali e non), ma anche dei neo costituiti sindacati militari.
Il punto maggiormente dibattuto è il riconoscimento o meno, per i sindacati, della personalità giuridica; riconoscimento che sarebbe dovuto derivare dall’applicazione del combinato disposto dei commi 2, 3 e 4 dell’articolo 39 della Costituzione che prevedono un meccanismo di registrazione dei sindacati ed un conseguente riconoscimento di personalità giuridica. Nella realtà dei fatti, i citati commi dell’articolo 39 non hanno mai trovato piena attuazione, così determinando che i sindacati sono ad oggi associazioni prive di personalità giuridica che operano come enti di fatto ai quali si applicano le norme del codice civile in tema di associazioni non riconosciute di cui agli articoli 36, 37 e 38 c.c..
Il mancato riconoscimento della personalità giuridica ai sindacati non ha però impedito che questi assumessero comunque una soggettività giuridica, sino anche ad ottenere che venissero loro riconosciute alcune norme previste dal codice civile per le associazioni dotate di personalità giuridica, quale l’articolo 24 c.c.. Difatti, la Cassazione Civile ha sancito che gli enti non riconosciuti, come detto, sono “dotati di soggettività giuridica, costituendo soggetti autonomi vuoi sul piano sostanziale, vuoi su quello processuale, con conseguente legittimazione a stare in giudizio” (Sez. I, sent. n. 8239 del 16/06/2000). Sullo stesso principio si fonda quanto sancito circa il fatto che gli organi associativi “possano deliberare l’esclusione dell’associato per gravi motivi, ma anche che il giudice, davanti al quale sia proposta l’impugnazione della deliberazione di esclusione, ha il potere dovere di valutare, ex art. 1455 cod. civ.,ove si tratti di fatti imputabili a titolo di dolo o di colpa dell’associato escluso, se essi siano gravi e non di scarsa importanza” (Sez. I, sent. n. 5192 del 09/05/1991).
E’ stato in alcuni contesti evidenziato come si sia quindi formata ormai una giurisprudenza che riconosce, ad esempio, ai singoli soci di fare ricorso al giudice per ottenere tutela dei propri diritti nei confronti di atti deliberativi invalidi perché contrari alla legge, all’atto costitutivo o allo statuto, nonostante gli statuti dei sindacati spesso prevedano che il compito di dirimere le controversie con gli associati spetti ad organismi interni, col rischio di sacrificare le posizioni dei singoli iscritti.
A questo punto viene da chiedersi perché non si sia formata una chiara volontà di ottenere il riconoscimento della personalità giuridica, applicando i menzionati commi dell’articolo 39 della Costituzione per i sindacati, che rappresentano una indiscussa forza sociale nel Paese, al pari dei partiti politici, anch’essi rientranti tra le associazioni non riconosciute.
Nel merito alcuni sostengono, e non ho ragione di pensare diversamente, che tale volontà non si sia formata perché l’obbligo di registrazione avrebbe comportato forme di controllo da parte dell’amministrazione sull’organizzazione dei sindacati, con ciò minando la loro reale libertà, come possiamo legittimamente sostenere stia accadendo per i costituiti sindacati militari che, a differenza dei sindacati stricto sensu (confederali e non), sono per norma soggetti al controllo autorizzativo e revocatorio da parte dei dicasteri dai quali funzionalmente dipendono le rispettive amministrazioni di riferimento, divenendo con ciò, sostanzialmente, dei sindacati sui generis.
Ciò detto, viene anche in ultimo da chiedersi se sia ancora di interesse per i sindacati stricto sensu (confederali e non) ottenere il riconoscimento della personalità giuridica, attraverso l’emanazione di una norma in applicazione del commi 2, 3 e 4 dell’articolo 39 della Costituzione.
I tanti decenni trascorsi dall’approvazione della nostra Costituzione e dalla nascita dei sindacati, senza che si sia mai data attuazione alla menzionata previsione, personalmente mi lascia pensare che non vi sia un reale interesse in merito, essendosi ormai consolidate modalità di funzionamento e riconosciuti diritti di natura civilistica che consentono una piena operatività dei sindacati a tutela dei lavoratori, operatività che non richiederebbe, probabilmente, ulteriori interventi normativi di spessore costituzionale.
Conclusivamente, molto ancora rimane da fare per rendere la legge sulla sindacalizzazione del personale militare pienamente conforme al dettato costituzionale ed alla prassi giurisprudenziale consolidatasi per i sindacati stricto sensu, non escludendo affatto che ciò possa essere portato al vaglio della Corte Costituzionale, così come degli Organi della giustizia europea.
In merito al dibattito cui ho fatto cenno, incentrato sugli effetti della completa o meno attuazione dell’articolo 39 della Costituzione, un contributo di pensiero, con commento del Prof. Pietro Lambertucci, è stato nei giorni scorsi espresso anche da Eliseo Taverna, membro del Consiglio Direttivo Nazionale del Sindacato Nazionale Finanzieri, visionabile sul sito www.iusinitinere.it (clicca qui per il link diretto all’articolo)
* Alessandro Margiotta – Segretario Generale del Sindacato Nazionale Finanzieri.