Nel febbraio di quest’anno mi ero già espresso in senso contrario sulle ipotesi di incremento della quota di contribuzione del personale al Fondo di Previdenza, allora addebitate al Consiglio di Amministrazione, che avrebbero dovuto portare ad un innalzamento della percentuale dal 2% al 3% sull’80% della retribuzione, comportando quindi un aumento della trattenuta in busta
Nel febbraio di quest’anno mi ero già espresso in senso contrario sulle ipotesi di incremento della quota di contribuzione del personale al Fondo di Previdenza, allora addebitate al Consiglio di Amministrazione, che avrebbero dovuto portare ad un innalzamento della percentuale dal 2% al 3% sull’80% della retribuzione, comportando quindi un aumento della trattenuta in busta paga non indifferente.
Tale intervento era posto in relazione all’analisi effettuata dal C.d.A. del Fondo sulla sostenibilità finanziaria dello stesso, in conseguenza della fuoriuscita consistente di personale per limiti di età, con conseguente diritto alla liquidazione del “Premio di previdenza” e del “Premio aggiuntivo” che il Fondo stesso eroga al momento del collocamento in congedo.
Pur nella consapevolezza che l’andamento delle assunzioni e dei congedi imponeva, inevitabilmente, interventi correttivi per assicurare anche a chi andrà in congedo nei prossimi anni la liquidazione dei “premi”, ebbi modo di esprimermi in maniera contraria all’incremento della percentuale di contribuzione, auspicando l’adozione di iniziative atte a dare maggiore stabilità al Fondo stesso attraverso una più oculata politica della spesa e degli investimenti che potesse contenere da un lato le “uscite” nei limiti dell’indispensabile e dall’altro aumentare la redditività degli interventi e degli gli strumenti sino ad ora utilizzati.
In quella occasione evidenziai anche che la particolare congiuntura economica aveva portato ad una oggettiva riduzione del potere di acquisto delle retribuzioni conseguente all’inflazione degli ultimi anni, che già aveva messo in difficolta anche le famiglie dei finanzieri, e che dall’apertura del tavolo per il rinnovo contrattuale derivavano forti aspettative nel personale circa la possibilità di recuperare, sia pur marginalmente, quel potere d’acquisto.
Nessuna novità era emersa nei mesi successivi, quasi a significare che si erano in qualche modo stimolate riflessioni nel Consigio di Amministrazione del Fondo, che suo malgrado e senza esserne direttamente responsabile, era chiamato a fare quelle scelte per porre rimedio ad una situazione in prospettiva difficile.
Ebbene, dopo la quiete ecco la tempesta.
E’ stato infatti approvato in Commissione Affari Costituzionali del Senato un emendamento (7.0.100) proposto dal Governo nell’esame del disegno di legge 1053, con il quale viene incrementata la percentuale di contribuzione del personale sia alla Cassa Ufficiali che al Fondo di Previdenza, fino al raggiungimento del 3% sull’80% della retribuzione, in luogo dell’attuale 2%.
Non sfugge che l’incremento della percentuale da applicare alla contribuzione per il Fondo inevitabilemente eroderà parte dell’aumento stipendiale che si otterrà in chiusura delle trattative in atto sul rinnovo contrattuale, così riducendone gli effetti e deprimendo, oltremisura, le aspettative del personale.
Il Sinafi si farà quindi promotore di ogni iniziativa possibile affinché nell’iter di approvazione definitiva del disegno di legge 1053 si riveda l’attuale indirizzo che incrementa la percentuale di contribuzione, eliminando tale previsione e rimettendo, conseguentemente, al Consiglio di Amministrazione del Fondo di Previdenza l’individuazione e adozione di misure alternative, soprattutto sotto il profilo delle spese e dei rendimenti degli investimenti, che non impattino sul personale che alimenta il fondo stesso.
Alessandro Margiotta – Segretario Generale del Sindacato Nazionale Finanzieri