La libertà di espressione e il caso Vannacci.

La libertà di espressione e il caso Vannacci.

L’opinione di Stefania Castricone – Segretario Generale Aggiunto del Sindacato Nazionale Finanzieri. In questi giorni si parla di libertà di espressione soprattutto riferita al nostro ambiente lavorativo. Questo grazie o a causa del libro del Gen. Vannacci. Non ho letto il libro e non intendo leggerlo. Non amo questo genere di “letteratura” e tanto meno

L’opinione di Stefania Castricone – Segretario Generale Aggiunto del Sindacato Nazionale Finanzieri.

In questi giorni si parla di libertà di espressione soprattutto riferita al nostro ambiente lavorativo. Questo grazie o a causa del libro del Gen. Vannacci.

Non ho letto il libro e non intendo leggerlo. Non amo questo genere di “letteratura” e tanto meno il sospetto che dietro ci possa essere una strumentalizzazione mediatica da parte di tanti e non solo dell’autore che, a fronte di tanto scalpore e di un paventato procedimento disciplinare, sicuramente sta vendendo più copie di quante avrebbe potuto sperare.

Quindi, premesso di non essere in grado di giudicare le frasi e i contenuti sotto accusa, sento di dover esprimere un concetto, anche in relazione al mio ruolo di dirigente sindacale, che nulla ha a che fare con la libertà di espressione e tanto meno con il Gen. Vannacci.

Noi, uomini dello Stato, non possiamo permetterci di dire o scrivere tutto ciò che ci passa per la mente.

Abbiamo delle responsabilità nei confronti della società che vanno ben oltre la libertà di espressione e che non ne costituiscono certo una limitazione.

Noi rappresentiamo lo Stato, siamo l’immagine che i cittadini hanno dell’Autorità pubblica e, orgogliosi e forti di esserlo, dobbiamo ponderare ciò che diciamo perché le nostre parole hanno un peso maggiore rispetto alle chiacchiere da bar.

E questo deve renderci orgogliosi piuttosto che farci pensare a una limitazione.

E’ altra la libertà di espressione che va difesa e la cui privazione viviamo ogni giorno, personalmente o attraverso i racconti dei nostri iscritti e colleghi.

Il tacere davanti a un superiore, il timore che spesso ci assale nel rivendicare ciò che ci spetta, il disappunto di fronte a un’ingiustizia e il non riuscire o il non poter esprimerlo.

Per questi silenzi vale la pena dibattere, lottare, anche subire un procedimento disciplinare.

Non certo per frasi più o meno razziste, omofobe, sessiste.

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